GALLERIA LA BUSSOLA, TORINO
28 febbraio 1955
DEI MATTONI SCOLPITI DI NILLO BELTRAMI
hanno discorso già scrittori, critici e pittori egregi: è oggi la volta di chi scrittore, critico o pittore non è; di chi è semplicemente (semplicemente?) un amico; e, come amico, un testimonio, che si sforzerà, in quanto tale, a dire, pur com'è d'obbligo, la verità, o, almeno, quella che gli pare essere la verità.
E liberiamoci subito dalla biografia! Nillo Beltrami è nato a Fornero in quel di Omegna nel 1899; non ha fatto l'enfant prodige, ma ha frequentato regolarmente la nostra Albertina, quindi lo studio del Rubino; ha partecipato a Biennali veneziane, Quadriennali romane e Promotrici torinesi; ha fatto personali a Torino (1936, '48, '50); Milano (1953), Venezia (1954).
Non è di formazione libresca, ma tempera la sua solitudine col sodalizio con uomini preclari della cultura e con la frequentazione di concerti e mostre; nè vanta trascorsi parigini, bastandogli, a non essere provinciale, il vivere in questa nostra Torino che un geniale napoletano troppo presto scomparso, Edoardo Persico, definiva la città più francamente europea d'Italia; e, aggiungiamo noi, la più congenitamente democratica, il che significa la più unitaria per gusto e per costume.
Alla Quadriennale torinese del 1952, con i primi mattoni, Beltrami operò la frattura (ma i disegni esposti nel 1948 al Grifo costituivano già un chiaro segno promonitore!) con la sua produzione che si manteneva entro i limiti della formazione accademica, e che per necessità, era per lo più a destinazione celebrativa o cemeteriale. Come sempre in questi casi i profani gridarono all'incoerenza, allo scandalo; i colti alla scoperta casuale; oppure partirono, questi ultimi, alla ricerca di più o meno legittime paternità ed ascendenze. Si tratta invece, e come sempre, di una rivoluzione a lungo elaborata e decantata nel chiuso della mente (la fantasia al vaglio della ragione); in breve, di una vocazione latente.
Era totalmente capovolto il procedimento tecnico, la cottura, atto tradizionalmente finale del lavoro plastico, era divenuta, in una fornace qualsiasi - i mattoni provenivano da un cantiere - approntamento di una materia prima: una materia antica quasi quanto l'uomo che seduce per il colore; a volte rosso ferrigno scuro con granulazioni silicee, a volte giallo ocraceo.
Geometrie di parallelepipedi saldamente impiantati; larghezza dei piani lievemente modulati fa graffiature a ritmo parallelo e interrotti da pause di profonde incisioni (il segno di certa pittura moderna!):
ampiezza di curve; ed inoltre estrema semplicità e perennità degli umani atteggiamenti, più che dei miti, danno a questa scultura, prescindendo dalle dimensioni sovente minuscole dei pezzi, una monumentabilità impressionante; la fantasia suggerisce l'idea di grandiosi frammenti riemersi da chissà qual cataclisma ai primordi dell'umanità, in terre favolose.
Ma non meno legittimo è l'istituire analogie con forme estremestiche ispirate a nuove poetiche(si potrebbe fare il nome di Lipchitz); l'umanità delle forme è di tale purezza ed essenzialità che si intuisce subito che la lezione astrattista non è stata completamente trascurata.
Si può allora conchiudere con una classificazione di classicità; inteso il vocabolo non nell'accezione relativa ad una determinata forma, ma assoluta; abbiamo una scultura che vuol essere una evasione da un tempo determinato; che vuol essere di tutti i tempi epperciò fuori del tempo, una ricerca dell'universale, dell'eterno al di là delle contingenze e delle varie estetiche progressiste che, in quanto tali, sono .dannate all'autodistruzione.
Eppure ..... eppure ci vien fatto di pensare che questo non provinciale, oltre che non attuale, modo di scolpire doveva proprio manifestarsi - e non soltanto per quanto abbiamo detto iniziando - nella nostra Torino; un Istriano d'ingegno, Giuseppe Pagano Pogatschnig, morto a Mathausen, diceva un giorno che il Gaurini non aveva costruito mattone su mattone, ma modellato di getto col pollice nella creta le sue barocche architetture. Ma osserviamo da vicino Palazzo Carignano e Accademia delle Scienze: le robuste decorazioni sono scolpite a vivo nel mattone come se fosse pietra. E proprio a Torino Nillo Beltrami le sue architetture umane scolpisce e costruisce nel mattone.